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FAQ
Se non trovi la risposta alla tua domanda, non esitare a contattarci.
QUESITO – Un operatore chiede chiarimenti sull’art. 124 del Decreto Rilancio, in particolare sull’interpretazione di due delle voci nell’elenco dei dispositivi medici esenti da IVA. Come “sistemi di aspirazione” sono da includere solo gli apparecchi o anche il monouso? Come “strumentazione per accesso vascolare” sono da includere solo gli apparecchi o tutti i dispositivi, quindi inclusi tutti i cateteri vascolari?
RISPONDE – Mauro Crosato, Avvocato amministrativista, esperto in sanità.
A rigori, la prima questione deve ottenere risposta positiva. Il termine “sistema”, infatti, indica una serie di dispositivi medici che operano congiuntamente per il conseguimento di una specifica finalità medica. Ciascun dispositivo, pertanto, per quanto autonomo, opera in congiunzione con altri, ciascuno per lo svolgimento della propria specifica funzione. Il sistema rappresenta l’insieme di tutti i dispositivi necessari per l’esecuzione di un determinato intervento sanitario. Ciascuno di essi, pertanto, va, a mio avviso, assoggettato al regime IVA agevolato.
La seconda questione è più complessa, in quanto il termine “strumentazione” non fa riferimento ad un concetto definito nella normativa dei dispositivi medici. L’assoggettamento al regime IVA agevolato dei cateteri vascolari (certamente dispositivi per l’accesso vascolare) è pertanto una questione di mera interpretazione del testo normativo, che, sul punto, non pare felicemente formulato. Ad una prima lettura, tuttavia, il termine “strumentazione” parrebbe far riferimento ad un dispositivo attivo o, quantomeno, a dispositivi costruttivamente complessi, escludendo dall’applicazione i dispositivi all’apparenza più semplici, come i cateteri. Si tratta, però, di una personale valutazione, che rischia di essere smentita nella pratica applicativa del decreto.
La questione potrà essere risolta, probabilmente, solo dopo un interpello all’Agenzia delle Entrate.
QUESITO – Un’azienda che ha importato e intende distribuire in Italia un dispositivo medico di classe IIa, ha indicato nell’etichetta della scatola esterna il proprio nome e indirizzo come distributore, mediante stampa indelebile sul pack anziché mediante etichetta. Chiede se è contestabile che non venga specificato che il distributore è anche importatore.
RISPONDE Mauro Crosato, avvocato amministrativista, esperto in sanità.
In questo momento, vigente il d.lgs 46/1997, in attuazione della direttiva 1993/42/CEE, non è richiesto che l’etichetta riporti l’indicazione dell’importatore, ma solo del fabbricante e, qualora questo abbia sede fuori dell’UE, del mandatario designato.
Pertanto, l’indicazione del distributore, anche se importatore, non è ancora necessaria.
La situazione sarà diversa, per i dispositivi recanti la marcatura di conformità apposta in base al regolamento 2017/745/UE, che impone venga riportato nell’etichetta, stampata con inchiostro indelebile, anche il riferimento dell’importate nell’Unione. Non è richiesto, tra le informazioni obbligatorie, neppure dal regolamento, il riferimento del distributore.
Già oggi, però, le informazioni aggiuntive, quali ad esempio il riferimento dell’importatore o del distributore, possono legittimamente essere apposte sui dispositivi medici importati, anche apponendo sul prodotto un’etichetta aggiuntiva, o, come sembra nel caso, stampigliando direttamente le informazioni sul confezionamento esterno.
Le informazioni aggiuntive, tuttavia, non possono sovrapporsi alle indicazioni fornite dal fabbricante nell’etichetta nè possono occultare le informazioni qui presenti, dovendo sempre essere presenti, integre e leggibili, le informazioni presenti sull’etichetta originale.
QUESITO: Esiste una norma armonizzata al MDR 2017/745 sui simboli da utilizzare per l’etichettatura dei DM? Se non esiste, come possiamo rendere l’etichetta conforme al Regolamento?
RISPONDONO:
- Gianluca Salerio, Area Normazione internazionale UNI;
- Sandro Storelli, Osservatorio Biomedicale Veneto [1]
[1] È allo studio un evento di approfondimento sulle norme del settore medical Device alla luce del nuovo Regolamento
Occorre innanzitutto una premessa
La EN 980 – Simboli utilizzati per l’etichettatura dei dispositivi medici è stata la prima norma europea EN che ha avuto l’armonizzazione ai sensi della Direttiva 93/42/CE dispositivi medici, ed è rimasta negli elenchi delle norme armonizzate della Commissione Europea fino al 31 dicembre 2017.
Nel frattempo a livello internazionale, i contenuti della EN 980 sono stati incorporati e adattati nella norma ISO 15223-1, che ha definitivamente sostituito in Europa la EN 980, diventando la EN ISO 15223-1 Dispositivi medici — Simboli da utilizzare nelle etichette del dispositivo medico, nell’etichettatura e nelle informazioni che devono essere fornite — Parte 1: Requisiti generali.
Riconoscimento come norma armonizzata a livello UE… ma alla direttiva 93/42
Dopo alcuni anni, nel marzo 2020, finalmente anche la EN ISO 15223-1 viene ufficialmente citata nella Gazzetta Ufficiale dell’UE come norma armonizzata alla direttiva 93/42/CE (ma non al Regolamento 217/745)…dove la Commissione specifica che “should not be used to confer presumption of conformity with the requirements of Regulation (EU) 2017/745”.
Le lacune della 15223-1 e i simboli non armonizzati
In particolare la EN ISO 15223-1 pubblicata NON conterrebbe tutti i simboli necessari richiesti dal MDR.
Infatti, l’etichetta deve indicare se il dispositivo include, ad esempio:
- Sostanza medicinale
- Derivato sangue / plasma umano
- Tessuti / cellule / derivati di origine umana
- Tessuti / cellule / derivati di origine animale
- Sostanze cancerogene / mutagene / tossiche (CMR)
e inoltre
- Vettore UDI ai sensi dell’articolo 24, allegato V
- Se il dispositivo è un dispositivo monouso rielaborato
- Identificazione di elementi assorbiti o dispersi localmente
Molti di questi simboli non hanno ancora un label armonizzato e la 15223-1 avrebbe l’obiettivo di includerli nella sua nuova edizione allo studio.
Draft standardization request della Commissione UE e nuova edizione della EN ISO 15223-1
Nel marzo del 2020 la Commissione adotta la standardization request per studiare le future norme armonizzate al MDR 2017/745; tra queste c’è la futura EN ISO 15223-1. Secondo il mandato della Commissione, la norma dovrebbe essere disponibile entro maggio 2020.
La 15223-1 è tuttavia una norma internazionale, studiata a livello ISO e attualmente il suo stadio di avanzamento è ISO/DIS 15223-1 (draft international standard) …e ha appena terminato il voto mondiale nel Comitato tecnico (ISO TC 210). Il progetto ISO/DIS contiene solo una parte di nuovi simboli richiesti dal Regolamento 2017/745, nonché l’Annex ZA, che elenca la corrispondenza tra i simboli e i requisiti essenziali che li richiedono. Il Comitato incaricato dovrà gestire i commenti e preparare il testo per il voto finale FDIS/15223-1, puntando ad inserire i simboli mancanti.
Che fare, nelle more di una norma armonizzata al MDR?
Il pressing degli stakeholders è forte, per l’armonizzazione della norma al MDR: agli operatori necessitano riferimenti chiari. Tale chiarezza è indispensabile anche per la sorveglianza e vigilanza sul mercato e, ovviamente, affinché agli utilizzatori possano essere fornite informazioni chiare e univoche.
Peraltro, attendendo la conclusione dell’iter necessario perché sia disponibile una norma armonizzata al MDR, l’operatore economico potrà far riferimento alla EN ISO 15223-1, armonizzata alla direttiva 93/42.
Se vorrà rendere conforme ai requisiti del MDR l’etichetta del dispositivo medico che immette sul mercato, l’operatore dovrà fare le valutazioni e adottare le misure che competono alla sua responsabilità (e potrà comunque, provvisoriamente, fare tesoro dei contenuti dei progetti di norma in corso, pur senza avere il riconoscimento del presupposto di conformità al Regolamento).
QUESITO – Chi tra fabbricante e mandatario, in base al mdr 2017/745, deve occuparsi della traduzione delle istruzioni per l’uso e dell’etichetta di un dispositivo medico messo in servizio o immesso in uno stato ue o extra ue (diverso da quello del fabbricante)?
(Un esempio potrebbe essere un produttore italiano che deve esportare il suo dispositivo in Germania, Stati Uniti, ecc.)
RISPONDE – L’esperto Riccardo Dainese, AD Eumed
L’articolo 10 definisce gli “obblighi dei fabbricanti: “I fabbricanti provvedono a che il dispositivo sia corredato delle informazioni indicate all’allegato I, punto 23, in una delle lingue ufficiali dell’Unione stabilita dallo Stato membro in cui il dispositivo è messo a disposizione dell’utilizzatore o del paziente. Le indicazioni che figurano sull’etichetta sono indelebili e scritte in modo da risultare facilmente leggibili e chiaramente comprensibili all’utilizzatore o al paziente previsto” (art. 10 p. 11).
È quindi compito del fabbricante predisporre le informazioni di cui all’allegato I punto 23, ovvero etichette e istruzioni per l’uso, nella lingua ufficiale dello Stato membro dove mette a disposizione un proprio dispositivo.
L’articolo 11 definisce invece il ruolo del mandatario, il quale deve “verificare che siano state elaborate la dichiarazione di conformità UE e la documentazione tecnica e, se del caso, che il fabbricante abbia espletato un’adeguata procedura di valutazione della conformità”.
Il mandatario deve quindi controllare la documentazione tecnica dei dispositivi messi a disposizione dal fabbricante, la quale comprende le informazioni che devono essere fornite dal fabbricante, ovvero etichetta e istruzioni per l’uso (allegato II p. 2).
La responsabilità e il dovere di tradurre correttamente le informazioni fornite con il dispositivo sono quindi in capo al fabbricante, mentre il mandatario ha un ruolo di controllo e supervisione sull’attività del fabbricante.
Diverso è il caso degli importatori e dei distributori, per i quali è prevista la facoltà di eseguire essi stessi la “traduzione, delle informazioni date dal fabbricante conformemente all’allegato I, punto 23, in merito a un dispositivo già immesso sul mercato e di ulteriori informazioni necessarie per commercializzare il dispositivo nello Stato membro in questione” (art. 16 p. 2). Tuttavia, qualora essi svolgano tale attività devono indicarlo sul dispositivo o sul suo confezionamento e devono “disporre di un sistema di gestione della qualità comprendente procedure destinate a garantire che la traduzione delle informazioni sia esatta e aggiornata” (art. 16 p. 3).
Bisogna inoltre ricordare che, per quanto riguarda l’etichetta, i fabbricanti possono utilizzare i simboli armonizzati, come indicati dalle norme tecniche armonizzate di riferimento, superando in tal modo la problematica connessa alla traduzione.
QUESITO – L’odontotecnico che lo fabbrica deve dichiarare quanto dura la vita del DM su misura? Per quanto tempo ne è responsabile?
RISPONDE – Sandro Storelli, esperto senior di aspetti regolatori nel medicale
I dispositivi medici dentali, fabbricati dal laboratorio odontotecnico, per definizione sono “su misura” e destinati ad un uso professionale per fare parte di una terapia applicata allo specifico paziente.
Tali dispositivi medici su misura, per loro natura, possono avere durabilità differenti a seconda della destinazione d’uso.
Possiamo definire che un provvisorio abbia una durata di vita prevista di 30 giorni così come la durata di una metallo ceramica può tranquillamente arrivare a cinque anni.
Il MDR 2017/745 definisce come “difetto di un dispositivo” qualsiasi carenza, anche a livello della sua durabilità.
La durata di vita prevista – e cioè il periodo di mantenimento delle caratteristiche prestazionali dichiarate dal fabbricante – è in ogni caso una cosa importantissima da un punto di vista della responsabilità civile sul prodotto, e il fabbricante di dispositivi medici dovrebbe preoccuparsene molto.
Pensiamo infatti come cambia l’analisi dei rischi se progettiamo un dispositivo che debba durare trenta giorni o cinque anni.
In base alla durata prevista cambiano anche le scelte sui materiali e sul modo di produrre un dispositivo.
In realtà, l’odontotecnico fabbricante, da sempre, fa scelte ed utilizza materiali diversi a seconda se sviluppi una protesi provvisoria od una definitiva.
Ciò che non ha mai fatto è stabilire un termine preciso di durabilità. per farlo diventare anche un termine contrattuale.
È vero che se diciamo che una ceramica ha una durata di vita prevista di cinque anni, siamo responsabili per i danni che questa può causare nel tempo che abbiamo stabilito.
Allo stesso tempo, però, definiamo anche quando finiamo di essere responsabili di ciò che abbiamo fabbricato: poniamo quindi fine a quella tendenza per cui – nei confronti dei nostri clienti – noi siamo responsabili per sempre dei nostri prodotti.
Un importante aspetto che spesso viene trascurato, ma di importanza vitale per le nostre aziende, sono le istruzioni d’uso.
In ogni istruzione d’uso dobbiamo elencare le azioni che l’utilizzatore deve intraprendere, affinché il dispositivo medico da noi fabbricato possa durare, in sicurezza e mantenendo le prestazioni previste, il tempo di vita da noi stabilito.
Ugualmente, sia nelle istruzioni per il paziente/utilizzatore, sia in quelle per l’odontoiatra ai fini della corretta installazione, va indicata la periodicità minima dei controlli che vanno effettuati
ESEMPIO: pensiamo alle istruzioni per la pulizia affinché non vengano adoperati prodotti abrasivi o incompatibili con i materiali del dispositivo, non vengano richieste al dispositivo prestazioni superiori a quelle che ci si può aspettare (cibi particolarmente duri).
Ma ancora, i controlli programmati (che indicativamente possono essere di sei mesi per la protesi mobile e di un anno per le protesi fisse): se il paziente non effettua i controlli di fatto decadono le condizioni specifiche di responsabilità.
ESEMPIO: se si rompe un ponte in ceramica, creando dei danni, e la causa viene attribuita ad un’eccessiva usura, mentre il paziente non aveva eseguito i controlli periodici, possiamo in linea di principio ritenerci non responsabili dei danni, in quanto un controllo avrebbe permesso l’accertamento della condizione di pericolo e quindi la necessità di intervenire.
Lo stesso si può dire per una protesi mobile che si rompe mentre il paziente non ha effettuato i controlli semestrali utili a rilevare la necessità di un’eventuale ribasatura.
I controlli periodici, naturalmente, dovrebbero essere documentati e l’odontotecnico fabbricante dovrebbe avere i feedback sul dispositivo dopo la sua immissione in commercio.
Ma, in ogni caso, è opportuno che il fabbricante possa dimostrare di aver fatto la propria parte.
QUESITO – Un operatore chiede chiarimenti sulla figura e le responsabilità del “Mandatario”, ai sensi del MDR 2017/745
Su questo tema, ci offre un quadro di sintesi l’esperto Riccardo Dainese, esperto in materia regolatoria.
Il mandatario è qualsiasi persona fisica o giuridica stabilita nell’Unione che ha ricevuto e accettato dal fabbricante avente sede fuori dall’Unione, un mandato scritto che la autorizza ad agire per conto del fabbricante in relazione a determinate attività con riferimento agli obblighi del medesimo ai sensi del Regolamento 2017/745.
Un mandatario quindi esiste quando:
- un fabbricante di dispositivi medici ha sede fuori dall’Unione,
- è stato redatto un mandato scritto con il fabbricante (dove devono essere precisati tutti i compiti di cui è incaricato).
L’articolo 11 esplicita chiaramente gli obblighi e i doveri di questa figura, che pure era già prevista dalla Direttiva 93/42/CEE e 2007/47/CE, senza che però ne fossero definiti in modo così chiaro e preciso i compiti e le responsabilità.
Il mandatario acquisisce quindi un ruolo chiave per garantire la conformità dei dispositivi di fabbricanti extra-UE.
Il mandatario ha il compito di verificare che i dispositivi immessi sul mercato rispettino i requisiti di conformità richiesti dal nuovo testo normativo e deve interfacciarsi con le autorità competenti in Europa e con il fabbricante extra-UE. Inoltre, scambia informazioni con gli importatori e i distributori dei prodotti, soprattutto per quanto riguarda lo svolgimento delle attività di vigilanza e sorveglianza.
Il mandatario nell’Unione europea è unico (almeno per ogni gruppo generico di dispositivi).
Il mandatario ha quindi il compito di:
- verificare le dichiarazioni di conformità UE, la documentazione tecnica e l’adeguatezza della procedura di valutazione della conformità (se richiesta per la tipologia di dispositivi) per tutti i dispositivi per i quali è valido il mandato;
- conservare per almeno 10 anni, 15 nel caso di dispositivi impiantabili, la dichiarazione di conformità, la documentazione tecnica e l’eventuale certificato CE e consegnarli alle autorità competenti se richiesto;
- verificare che il fabbricante abbia rispettato i propri obblighi di registrazione e registrarsi a sua volta nel sistema elettronico (articolo 31);
collaborare con le autorità competenti, fornire tutte le informazioni necessarie e intermediare con il fabbricante; - informare immediatamente il fabbricante in caso di: reclami e segnalazioni di operatori sanitari, pazienti o utilizzatori relativi a presunti incidenti che hanno coinvolto i dispositivi oggetto del mandato.
Se il mandatario sospetta o constata che il fabbricante non soddisfa tutti i requisiti richiesti deve effettuare approfondite indagini e, se necessario, interrompere il rapporto di mandato.
Il mandatario, come il fabbricante, deve dotarsi, di una persona responsabile del rispetto della normativa (con sede all’interno del proprio Stato membro), naturalmente, diversa da quella del fabbricante.
Il mandatario è responsabile in solido di fronte alla legge dei dispositivi difettosi sulla stessa base del fabbricante. Ciò non significa che gli obblighi del fabbricante vengano delegati al mandatario, egli ha infatti esclusivamente il dovere di verificare e accertarsi che gli adempimenti siano tutti soddisfatti dal fabbricante e di conservare la copia dei documenti sopra indicati per il periodo richiesto: è importante che il mandatario sia quindi in possesso di tutta la documentazione che gli è necessaria per constatare la conformità normativa dei prodotti.
Il nome del mandatario e l’indirizzo della sua sede legale devono essere inoltre indicati sull’etichetta e sulle istruzioni per l’uso di tutti i dispositivi (allegato I, punti 23.2 e 23.4).
QUESITO – Sono diversi gli operatori a chiedere: “La prescrizione del dispositivo su misura, che va conservata in originale, può essere una prescrizione digitale, inviata via e-mail? Viceversa, se la prescrizione è su carta, essa può essere conservata facendone scansione digitale?”
Su questo tema, ci offre il suo parere l’esperto Mauro Crosato, Avvocato Amministrativista
Secondo l’allegato VIII al d.lgs 46/1997,
“Il fabbricante o il suo mandatario stabilito nella Comunità redige per i dispositivi su misura (…) una dichiarazione che contiene (…) le indicazioni seguenti:
2.1. Per i dispositivi su misura:
- i dati che consentono d’identificare il dispositivo in questione;
- la dichiarazione che il dispositivo in questione e’ destinato ad essere utilizzato esclusivamente per un determinato paziente, con il nome del paziente;
- il nome del medico o della persona autorizzata che ha prescritto il dispositivo e, se del caso, il nome dell’istituto ospedaliero;
- le caratteristiche specifiche del dispositivo di cui alla prescrizione medica;
- la dichiarazione che il dispositivo è conforme ai requisiti essenziali enunciati nell’allegato I e, se del caso, l’indicazione dei requisiti essenziali che non sono stati interamente rispettati, con debita motivazione”.
Nell’ultima parte, lo stesso allegato VIII dispone che “Le informazioni contenute nelle dichiarazioni previste dal presente allegato devono essere conservate per un periodo di almeno cinque anni” (periodo integrato dalla direttiva 97/47/CE per i dispositivi impiantabili).
Quindi, oggetto dell’obbligo di conservazione sono “le informazioni”: si tratta di una dicitura non troppo precisa, ma non si fa un riferimento espresso al documento che le contiene. Senza considerare, che i documenti potrebbero essere più di uno: ad esempio, le caratteristiche specifiche del dispositivo oggetto di prescrizione potrebbero essere conservate conservando direttamente la prescrizione medica.
Si deve considerare, però, che il Ministero della Salute, interpretando un po’ a modo proprio il punto 2.1 della norma, ha disposto, proprio in riferimento agli odontotecnici, che siano oggetto di conservazione “la prescrizione del medico, la dichiarazione di conformità del fabbricante alla direttiva 93/42/CEE, l’etichetta, il foglietto di istruzioni ed il fascicolo tecnico” (“dispositivi dentali su misura: adempimenti del settore odontoiatrico ed odontotecnico”, sul sito del Ministero della Salute). Si deve desumere che prescrizione del medico e dichiarazione di conformità facciano riferimento al punto 2.1. dell’allegato VIII, mentre etichetta, istruzioni e fascicolo tecnico siano riferite al punto 3 dello stesso allegato, relativo alla conservazione della documentazione che consente di esaminare la progettazione, la fabbricazione e le prestazioni del prodotto.
Se guardiamo alla norma, l’obbligo di conservazione delle “informazioni” è indipendente dal supporto documentale: quindi, una scansione o una mail, vanno benissimo.
Se invece guardiamo alla nota del Ministero, che fa riferimento al documento, ovviamente dobbiamo riferire la conservazione all’originale. Quindi, un documento riconducibile al soggetto che l’ha emesso, necessariamente firmato dall’odontoiatra (prescrizione) o odontotecnico (certificato di conformità).
Deriva che un documento cartaceo, firmato, scansionato, inviato per mail e stampato dal destinatario non è un documento originale, ma, al più, una copia.
La firma può però anche essere anche digitale in calce ad un file informatico, che in questo modo diviene un originale. Ma, in questo caso, la conservazione deve seguire le regole dettate dall’allegato 3 al DPCM del 3 dicembre 2013.
La conservazione va quindi riferita al documento originale cartaceo, in un archivio cartaceo, o digitale, nel rispetto delle regole tecniche. Si tratta, però, lo ripeto, di adempimenti non richiesti dalla legge, ma dal Ministero.
Nel nuovo Regolamento, l’obbligo di conservazione è riferito solo alla dichiarazione di conformità: “La dichiarazione di cui alla parte introduttiva del punto 1 è conservata per un periodo di almeno 10 anni dalla data di immissione sul mercato del dispositivo. Nel caso di dispositivi impiantabili, il periodo in questione è di almeno 15 anni” (allegato XIII, p.to 4).
Si tratta, a mio avviso, di una soluzione di buon senso, che impone la conservazione formale del documento emesso dal fabbricante (cartaceo o digitale), mentre le informazioni contenute nella dichiarazione possono essere conservate indipendentemente dalla forma delle stesse: quindi, una mail o una scansione, richiamate nella dichiarazione ed allegate, andrebbero benissimo.
Temo, però, che in ossequio alla tradizione formalistica della nostra burocrazia, una circolare, ampiamente superata e non coerente con i testi normativi cui dovrebbe dare applicazione, troverà ancora ampia applicazione negli ambienti ministeriali.
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